Franchise: Un modello basato sull’equilibrio

Se penso al Franchising mi vengono in mente tre immagini: la classica lampadina, una bilancia ed un diagramma di flusso, una sorta di rete composta da immagini geometriche, tra loro collegate in un disegno che raffigura lo sviluppo e il successo dell’iniziativa.

La lampadina rappresenta l’idea, la creazione, l’individuazione di quel qualcosa che si distingue per la sua originalità dalla massa, e che rappresenta il punto di partenza per la sua replicabilità, tali essendo gli elementi distintivi di un Franchising di qualità.

Il diagramma è il simbolo della giusta scelta dell’imprenditore, ossia della correttezza della sua idea e della giusta impostazione della stessa.

Da anni sostengo che il Franchising sia un modello che si regge sull’equilibrio, l’equilibrio tra le parti tutte che lo compongono e, inevitabilmente, nel rapporto tra Franchisor e Franchisee.

Il legislatore italiano è intervenuto sulla materia in tempi abbastanza recenti, con l’emanazione della legge 129 del 6 maggio 2004, che ha dunque dato una disciplina specifica a quello che fino a quel momento era considerato un contratto atipico, dunque un accordo tra le parti la cui disciplina era stata lasciata all’applicazione analogica di norme e principi propri di altre tipologie di contratti e all’interpretazione giurisprudenziale, per lo più concentrata sui temi della concorrenza.

Un complesso di soli 9 articoli, promulgato dal Presidente Ciampi su iniziativa del Governo Berlusconi, che ripercorrono per sommi capi gli aspetti essenziali del Franchising. Ed ecco il perché delle immagini richiamate poc’anzi.

Un rapporto di franchising – o affiliazione commerciale, secondo la definizione ad esso attribuita dalla menzionata normativa – deve dunque contenere un insieme di elementi che contraddistinguano l’iniziativa rispetto ad altre, in modo che essa sia originale e possegga dei contenuti che la stessa legge, all’articolo 1, definisce know how, ossia quel patrimonio di nozioni legate all’esperienza del Franchisor, non facilmente conoscibili e, dunque, per ciò replicabili solo ove si sia parte della “rete”.

Il contratto di Franchising deve essere redatto per iscritto e deve essere “svelato” al candidato Franchisee almeno trenta giorni prima dalla conclusione del contratto, insieme ad altre informazioni che riguardano la consistenza patrimoniale del Franchisor e della stessa rete dal medesimo creata.

Esso deve contenere alcuni requisiti essenziali, che si traducono – in buona sostanza – nell’individuazione del termine di durata, nella profittabilità dell’investimento per il Franchisee e nel trasferimento del know how da parte del Franchisor.

La lettura congiunta dei tre elementi ci riporta alla seconda immagine, ossia la bilancia.

E’ evidente e intuitivo che, se lo scopo del Franchisor è incrementare la propria rete commerciale con l’affiliazione di altri imprenditori che sviluppino il suo marchio e, conseguentemente incrementare i propri guadagni con le royalties che essi gli verseranno, il modello di Franchising utilizzato debba essere sostenibile sotto un profilo patrimoniale.

Esso, cioè, non deve “strangolare” il Franchisee, ma deve consentirgli di maturare il giusto guadagno, così da confermare che la scelta di aderire ad un Franchising, invece che aprirsi una propria e non conosciuta attività commerciale, sia stata corretta.

Ecco perché solo il giusto equilibrio tra i descritti elementi potrà determinare che entrambe le parti del rapporto possano incrementare nel tempo i propri ricavi e – conseguentemente – i reciproci guadagni.

Nel rapporto economico tra le parti, la stessa legge prevede che a carico del Franchisee possa essere previsto un canone di ingresso e un corrispettivo mensile (royalty), che giustificano l’estensione di quel know how di cui prima di è detto.

Non vi sono soglie minime o massime, perché l’intero modello è improntato alla “sostenibilità” dell’iniziativa.

Per tale motivo, tra l’altro, la durata minima del rapporto di Franchising deve essere tale da consentire al Franchisee di recuperare il proprio investimento, un tempo che la legge stima in “non meno” di tre anni.

Quanto detto, dunque, ci porta alla terza immagine, ossia il diagramma di flusso.

Solo allorchè  i descritti elementi siano ben bilanciati e coordinati, sarà possibile creare quella rete di punti vendita, individuati per aree, contraddistinte da una esclusiva di zona in favore di ciascun Franchisee, che consentirà all’utente di poter fruire del medesimo servizio e godere dello stesso prodotto in qualsiasi area  si trovi.

In tal modo, la pratica e l’esperienza si mescolano con la teoria e con la legge, che davvero diventa ispiratrice – seppur con pochi, ma chiari, principi – di un concetto imprenditoriale che sempre più in questi ultimi anni si sta sviluppando.

E del resto, tenuto conto dell’importanza degli investimenti richiesti per l’avvio di una qualsiasi attività commerciale, il Franchising rappresenta una imperdibile occasione per entrare in un settore – qualsiasi esso sia – godendo dell’esperienza, delle conoscenze e dell’insieme dei rapporti, già maturati da un altro imprenditore presente sul mercato con quel marchio da tempo.

Non deve, dunque, leggersi la brevità del testo normativo come un limite a questa tipologia di contratto, ma come un’opportunità di creare il giusto rapporto tra le parti – adeguato alla tipologia di prodotto ed al mercato di riferimento – nel rispetto del loro ruolo di imprenditori che – per una volta – invece di farsi concorrenza, lavorano nella stessa direzione per il reciproco successo.

 

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